Lo spettacolo offerto in questi mesi da un esecutivo tenuto insieme da una somma d’interessi vari, che non sempre convergevano con quelli del Paese, è stato dei più scabrosi possibili. La sua fine, sancita di fatto stasera con il “voto – non voto” al Senato è stata persino peggio.
Mario Draghi, l’uomo che per molti rappresentava l’ancora di salvezza per evitare le elezioni e quindi un ipotetico nuovo impasse i cui effetti avevamo potuto constatare con il giochino “oggi con te, domani con lui” dei governi a guida Conte, è caduto, paradossalmente, proprio nel momento in cui ha riconosciuto una certa valenza alle componenti politiche, prime tra tutti il Movimento frantumato e il PD.
Si, perché il grande fallimento del disegno tratteggiato attraverso un’ampia accozzaglia di deputati e senatori affinché fosse sostenuto il Premier è rappresentato dalla politica espressa, voluta, difesa e sbandierata dal vertice del Partito Democratico.
Una responsabilità già chiaramente manifestata con l’enorme linea di credito (facendosi garante) aperta nei confronti del M5S prima e poi con una spregiudicata mano di poker su due tavoli (Conte e Di Maio). Una tattica che ha portato l’architettura che reggeva Draghi a implodere su se stessa e a dimostrare (per l’ennesima volta) quanto siano privi di reale consistenza i governi non nati da maggioranze coese.
Tra l’altro la decisione di uscire dal Senato al momento del voto da parte di Lega e Forza Italia rappresenta un segnale molto forte verso Fratelli d’Italia che vede, così, riavvicinarsi la tanto (da loro) agognata tornata elettorale e quindi un ricompattarsi di una coalizione che solo se unita risulta vincente.
Sulle elezioni, invece, va fatta una breve riflessione.
È palese che siamo ancora nel pieno della pandemia (ma anche vittime di un’azione confusa e spesso contraddittoria del ministero), è un dato di fatto che la guerra alle porte dell’Europa sta creando difficoltà molto più forti del prevedibile, ma è pur vero che in altre nazioni si è votato senza, per questo, innescare sciagure di portata biblica o disastri socio-economici epocali. Dare la parola al popolo; imporre ai partiti politici di operare scelte chiare sulle quali confrontarsi; chiedere alle forze politiche di essere concrete e serie, lasciando perdere i Vaffa e i facili populismi privi di consistenza; specificare con chi e perché si prendono decisioni che si riflettono sulla vita della gente; ecco tutto questo mi pare assolutamente normale, soprattutto in momento critico come quello attuale.
Mario Draghi è stato accolto dalla maggior parte della Nazione come il prode che avrebbe potuto sopperire alla mediocrità politica del momento. Per un attimo forse ha illuso tutti (anche chi è rimasto all’opposizione) di poter rappresentare veramente un elemento nuovo e diverso da quello che si poteva immaginare vista la sua storia. Così non è stato. La partitocrazia (ricordate qualche vecchio politico (vero) usava questo termine) - rappresentata nella sua peggiore immagine proprio dal Movimento nato per abbattere la casta e diventato casta esso stesso - ha stritolato ogni tentativo di mediazione tra interessi finanziari e parvenze di democrazia messe in campo dal probabile futuro segretario generale della Nato.
Un gioco finito male. E ora di fronte a queste pagliacciate che il Paese non merita, è venuto il momento di farsi giudicare, tornando alla volontà popolare. Sarà il voto a decidere a chi affidare il destino del nostro Paese. Sarà il voto a metter fine ad alchimie politiche che ci hanno portato sull’orlo del baratro. Ma si andrà a votare o anche stavolta uscirà un goffo coniglio da qualche cappello usurato?